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“Yuri Dmitriev, una questione di diritti umani”

Cronaca“Yuri Dmitriev, una questione di diritti umani”

ROMA – Come fare ad aiutare i prigionieri e le prigioniere politiche detenute in Russia? È la domanda al centro di una proiezione-dibattito promossa dall’organizzazione per i diritti umani Memorial, nella redazione dell’agenzia Dire a Roma. Le riflessioni muovono da ‘Il caso Dmitriev’, documentario del 2023 scritto e diretto dalla regista olandese Jessica Gorter. L’opera ricostruisce la vicenda di uno studioso e attivista che dopo anni di ricerche nelle foreste della regione russa della Carelia scopre una fossa comune contenente le salme di persone giustiziate durante il “Grande Terrore” di Stalin del 1937. Entrato in rotta di collisione con il governo, arrestato e vittima anche di accuse che si sono poi rivelate infondate, Dmitriev resta in carcere: nonostante la notorietà e i riconoscimenti internazionali, come il Premio Sakharov per la libertà conferito dal Parlamento europeo e la Croce d’oro al merito polacca.

DE FLORIO (MEMORIAL): “RACCONTO MEDIA PUÒ AIUTARE DIRITTI”

L’esposizione mediatica come unica salvezza per i prigionieri politici: è la prospettiva suggerita durante la proiezione-dibattito del ‘Caso Dmitriev’ da Giulia De Florio, docente di Lingua e letteratura russa, presidente dell’organizzazione Memorial Italia.

L’orizzonte della sua riflessione abbraccia la Russia ma non solo. “Cosa si può fare?” chiede De Florio, durante il dibattito. “L’esposizione e la sovraesposizione mediatica è l’unica salvezza per i prigionieri politici: finché c’è l’occhio dell’opinione pubblica e soprattutto dell’Occidente è più probabile che le persecuzioni non arrivino al punto in cui potrebbero arrivare”. La presidente di Memorial Italia aggiunge, facendo riferimento anche alla morte in carcere di un oppositore del presidente Vladimir Putin: “Lo abbiamo visto nel febbraio scorso, con la morte di Aleksey Navalny”. Secondo De Florio, sempre rispetto ai prigionieri politici, “parlare di loro e con loro è un gesto concreto, un modo per proteggere e dare un salvacondotto”.

CHIODO KARPINSKY: “NON GUARDARE SOLO IN BIANCO E NERO”

Non guardare “solo in bianco e nero” ma saper vedere “anche tutti i grigi che ci sono nel mezzo”; e allora non credere che in Russia tutti la pensino come il presidente Vladimir Putin: due appelli di Raffaella Chiodo Karpinsky, attivista e autrice, nel corso del dibattito-proiezione su ‘Il caso Dmitriev’.

Il riferimento, nella redazione dell’agenzia Dire, è al tempo del conflitto armato con l’Ucraina. L’orizzonte geografico abbraccia invece l’Europa nel suo complesso, da est a ovest. “C’è una cristallizzazione delle posizioni per cui si crede alle verità articolate” dice Chiodo Karpinsky, autrice nel 2023 del libro ‘Voci dall’altra Russia’. “Si crede che ci sia la propaganda di Putin ma anche quella dell’Occidente e si perde la capacità di discernere, perché bisogna poi affidarsi a qualche filtro per leggere la verità”.

PERRONE (DIRE): “IL CONFRONTO SUI DIRITTI UMANI È CRUCIALE”

È importante confrontarsi sui diritti umani sempre, mettendo a disposizione della coscienza critica tutti i dati possibili per poter arrivare, tra tante ‘verità’, alla verità; e alla giustizia, quando giustizia deve essere fatta”: così Nico Perrone, direttore dell’agenzia Dire, in apertura della proiezione-dibattito del documentario ‘Il caso Dmitriev’.

L’incontro è promosso da Memorial, realtà della società civile con respiro internazionale nel nome dell’ong nata a Mosca alla fine degli anni Ottanta.

“Come giornalisti dobbiamo occuparci di diritti umani ovunque nel mondo” sottolinea Perrone. “In Russia, il Paese di Yuri Dmitriev, l’attivista del ‘Caso Dmitriev’, prigioniero politico tuttora in carcere, ma anche in Egitto, come ci ricordano i casi di Giulio Regeni o di Patrick Zaki, o in Afghanistan, dove abbiamo tutti visto ciò che è accaduto e sta accadendo a tante donne e uomini”.

Il documentario ricostruisce la vicenda di uno studioso che dopo anni di ricerche nelle foreste della regione russa della Carelia scopre una fossa comune contenente le salme di persone giustiziate durante il “Grande Terrore” di Stalin del 1937. Entrato in rotta di collisione con il governo, arrestato e vittima anche di accuse che si sono poi rivelate infondate, Dmitriev resta in carcere: nonostante la notorietà e i riconoscimenti internazionali, come il Premio Sakharov per la libertà conferito dal Parlamento europeo e la Croce d’oro al merito polacca.

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