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VIDEO | Afghanistan, l’ultimo docu-film ‘Long Night’ racconta gli ospedali di Emergency

Dall'Italia e dal MondoVIDEO | Afghanistan, l’ultimo docu-film ‘Long Night’ racconta gli ospedali di Emergency

ROMA – I “pappagalli verdi” uccidono ancora. Proprio quegli ordigni lì o qualcosa di simile, residuati mortali di oltre 40 anni di guerra. Ma non tutto è come prima: tornati al potere i talebani, sotto pressione i diritti umani, oggi in Afghanistan la speranza è anzitutto trovare un lavoro. Ne parla, di questa speranza, ascoltata e respirata nei viaggi e nei reportage che non si sono mai interrotti neanche dopo la caduta di Kabul, la reporter Lynzy Billing. Cittadina britannica, origini afghane e pachistane, vincitrice di tre Emmy Awards, è fotografa, giornalista e ora anche regista. Dopo i reportage-denuncia sugli abusi delle “unità zero” armate a Kabul dai servizi americani della Cia, con un bilancio di almeno 452 civili uccisi in 107 raid, arriva un film-documentario. Si intitola ‘Long Night’: lo sguardo della telecamera indaga la vita negli ospedali di Emergency, dove l’organizzazione umanitaria ha cominciato a operare nel 1999.

“ORA LA SPERANZA È TROVARE UN LAVORO”

“In Afghanistan non ci sono più tre attentati al giorno come accadeva anni fa”, premette Billing, incontrando l’agenzia Dire al Palazzo delle esposizioni, a margine della prima romana del docu-film. “C’è meno insicurezza, anche se mine e ordigni restano una minaccia; per tante persone, ora, la speranza è trovare un lavoro”.

‘Pappagalli verdi’ è il titolo di un libro pubblicato proprio nel 1999 da Gino Strada, il fondatore di Emergency. “Cronache di un chirurgo di guerra”, testimonianza e denuncia, con quegli ordigni simili a giocattoli colorati che attraggono i bambini. ‘Pappagallo verde’ è il soprannome delle submunizioni sovietiche Pfm-1. C’erano e ci sono però pure responsabilità italiane, con le esportazioni di aziende come Valsella, Tecnovar e Sei.

NOTTI LUNGHE E PIENE DI FERITI

‘Long Night’ toglie il respiro. È il racconto di notti lunghe, dolorose e frenetiche, segnate negli anni della guerra dalle “mass casualties”: con l’arrivo di tanti feriti tutti insieme nei pronti soccorso dopo esplosioni e attentati. A testimoniare, dal cuore di Kabul agli ospedali nella provincia di Helmand o nella valle del Panshir, sono anzitutto gli operatori sanitari afghani e i loro pazienti. Il film è stato girato nel 2024, nell’arco di 12 o 13 giorni. “Ho raccontato il Paese attraverso le voci di questi professionisti, chiedendo loro come stavano, al di là del lavoro nell’emergenza- spiega Billing-. Non avevo domande predeterminate, ho dato uno spazio libero; tante volte ho detto solo: ‘Cosa vuoi raccontarmi degli ultimi 25 anni?'”.

Al Palazzo delle esposizioni si discute anche di giornalismo e di stereotipi. Billing è convinta che si tenda a raccontare gli afghani un po’ sempre allo stesso modo. “Invece ogni distretto e ogni regione è diversa e ogni persona pure è unica, con la sua forza e la sua resilienza”, sottolinea la reporter. “Ricordo un chirurgo che lavora a Kabul: una personalità straordinaria e poi la sua calma, la gentilezza”.Di luoghi comuni da sfatare dice anche Rossella Miccio, presidente di Emergency. “Dovremmo tenere in conto i diritti e le speranze degli afghani, che sono esattamente uguali alle nostre”, il suo appello. “Questo ci potrebbe fare sentire un po’ più empatici verso di loro e verso tutte le vittime deiconflitti”.

Oltre che del film, e dei sentimenti che suscita, si parla di politica. In primo piano le responsabilità dei Paesi Nato guidati dagli Stati Uniti, che dopo una campagna militare ventennale giustificata con promesse di libertà e democrazia hanno deciso e completato il ritiro in poche settimane. “Abbiamo già disatteso tutte le nostre promesse”, denuncia Miccio. “Ora non possiamo dimenticare l’Afghanistan e 35 milioni di afghani”.’Long Night’ è utile anche per questo. Lo sottolinea in un dibattito che precede la proiezione il giornalista e ricercatore Giuliano Battiston. Al suo fianco c’è Filippo Bongiovanni, anestesista-rianimatore di Emergency, già in servizio nell’ospedale dell’ong a Kabul. “I chirurghi afghani sono costretti dalle circostanze a saper fare tutto” dice: “Racchiudono in sé le competenze di quattro o cinque specialisti in Europa”.

Parliamo ancora con Miccio. “Oggi gli afghani stanno pagando le conseguenze di oltre 40 anni di guerra e tutti i giorni affrontano difficoltà enormi nell’oblio internazionale”, sottolinea la presidente di Emergency. “Avevamo promesso che non saremmo andati via e che saremmo rimasti con loro e invece le ambasciate occidentali sono andate via addirittura prima dei militari”.Ma cos’è oggi l’Afghanitan? “Il ritorno dei talebani dopo il loro primo periodo al potere tra il 1997 e il 2001”, risponde Miccio, “si è accompagnato prevedibilmente a una riduzione dello spazio dei diritti estremamente pesante, soprattutto per le donne”.E ci sono altre criticità. “Anche di natura economica”, sottolinea la presidente di Emergency. “Esiste un embargo nei confronti dell’Afghanistan e i fondi sovrani del Paese sono congelati negli Stati Uniti e in Europa: il risultato è una crisi economica incredibile”.Secondo il Programma dell’Onu per lo sviluppo, nel 2024 circa l’85 per cento della popolazione viveva con meno dell’equivalente di un dollaro al giorno, in condizioni di grave povertà.
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