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Europee. Ucraina, Gaza, Esercito Ue: al voto tra guerra e pace

CronacaEuropee. Ucraina, Gaza, Esercito Ue: al voto tra guerra e pace

ROMA – Era il 2014 quando Papa Francesco per la prima volta usava l’espressione “terza guerra mondiale a pezzi”, per indicare il rischio imminente di scivolare in nuovo conflitto generalizzato. Da allora sono passati dieci anni e il termine torna in uso per descrivere una delle principali sfide a cui sarà chiamata a rispondere la nuova legislatura europea, che vedrà la luce lunedì 10 giugno. Sebbene organismi internazionali come Oxfam evidenzino che ad oggi sussistono un centinaio di conflitti nel mondo, i sette grandi gruppi politici che si spartiranno i seggi del Parlamento europeo articolano i loro programmi elettorali per il voto del 6-9 giugno essenzialmente attorno a due guerre: quella russo-ucraina e quella tra Israele e Hamas (fa però eccezione Identità e democrazia, di cui è parte la Lega, che non ha adottato un manifesto comune).

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I GRUPPI EUROPEI STANNO CON L’UCRAINA

Quanto alla prima, non c’è dubbio che i partiti ribadiscano all’unanimità “Europe stands with Ukraine”, l’Europa sta con l’Ucraina, a cui spesso segue anche l’affermazione “against Putin”, contro Putin, a partire dai principali gruppi dell’ultima legislatura dell’Eurocamera: i liberal-conservatori di centrodestra dei Popolari europei (Ppe), coi quali corre Forza Italia, e i Socialisti e democratici (S&D) di centrosinistra, che attirano il nostro Pd, entrambi convinti che l’Ue debba garantire armi in modo “sostenibile e sul lungo periodo”, che andrebbero ad aggiungersi ai 35 miliardi di euro che Bruxelles ha accordato a Kiev dal febbraio 2022. Più a destra del Ppe, i Conservatori e Riformisti (Ecr) – di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia – ricordano di aver sostenuto Kiev dalle rivolte di “Euromaidan” e contro l’annessione della Crimea nel 2014, e si spingono a promettere aiuti anche ai popoli della regione “che temono l’oppressione”, come “Bielorussia”, “Moldova” e “Georgia”. Il centrista Renew Europe (che piace ad Azione! e Stati Uniti d’Europa), come Ecr, invoca sanzioni più forti contro Mosca, e non si tirano indietro dal “pieno sostegno militare a Kiev” neanche i Greens – Alleanza libera europea (Verdi/Ale), a cui guarda Alleanza verdi e sinistra, denunciando il reato di “ecocidio” che il conflitto sta generando nel Paese e invocando l’adesione di Kiev all’Ue. Non affronta invece il tema nel suo manifesto comune la Sinistra europea (Gue/Ngl).

ISRAELE E GAZA, UNA GUERRA COMBATTUTA ANCHE SULLE PAROLE

Decisamente più divisiva è la questione in Medio Oriente: sebbene tutti concordino con l’urgenza di pacificare la regione, i partiti usano parole diverse per posizionarsi rispetto alla guerra che Israele ha avviato nella Striscia di Gaza in risposta all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, in cui morirono 1200 israeliani. Il 7 giugno, coi seggi già aperti in alcuni Stati Ue, cade l’ottavo mese dall’inizio dell’operazione che ha provocato quasi 37mila vittime palestinesi. Stavolta si schiera in modo chiaro la Sinistra di Gue, invocando la necessità di uno Stato di Palestina che, a causa del governo di Tel Aviv, oggi “subisce occupazione”, “genocidio” e “apartheid”.
Si tratta di termini che non ricorrono negli altri programmi: il Ppe e l’Ecr neanche citano Gaza, limitandosi a condannare “l’odioso attacco terroristico di Hamas”. Lo fa anche Renew Europe, che però accusa anche “la perdita di vite umane” nella Striscia. S&D sostiene il “diritto di difendersi di Israele” condannando, al tempo stesso, il “massacro umanitario” a Gaza e invoca il ruolo dell’Europa “nel sostenere le parti affinché tornino al processo di pace”. Infine i Greens, ricordando di aver sostenuto l’appello per il cessate il fuoco al Parlamento europeo, invocano un ruolo attivo dell’Ue come attore di pace e diritti in Medio Oriente affinché si raggiunga la soluzione dei due Stati e siano al contempo sostenute la Corte penale internazionale e la Corte di giustizia internazionale. La prima lavora per spiccare un mandato d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il leader di Hamas Yahya Sinwar, mentre la seconda esamina una denuncia contro Israele per il presunto genocidio contro la popolazione palestinese.

L’ESERCITO UE: TRA FAVOREVOLI E CONTRARI, IN MEZZO SI RICORDA IL RUOLO DI MEDIATRICE DELL’EUROPA

Più in generale, la dimensione della guerra alle porte dell’Europa porta il dibattito sulla proposta di un esercito comune europeo, altro tema che spacca le famiglie europee. E’ dall’aggressione russa dell’Ucraina del febbraio 2022 che gli Stati membri discutono di come attuare quell’assunzione di maggiori responsabilità” sancita nella Dichiarazione di Versailles. Il passo più consistente è stato fatto il 6 marzo scorso, quando la Commissione ha adottato un piano – sulla falsa riga di quello per lo sviluppo di vaccini e medicinali anti-Covid durante la pandemia – per produrre fino al 40% degli armamenti “in modo collaborativo”, e per mobilitare 1,5 miliardi di euro per il settore. “L’Europa deve essere in grado di difendersi da sola” è lo slogan che domina l’homepage del sito dei Popolari europei, i più grandi sostenitori del progetto, che nel manifesto chiedono che “ogni sforzo per la difesa sia integrato alla Nato” attraverso una “stretta collaborazione con Regno Unito e Norvegia” per promuovere “deterrenza e sicurezza”. Ursula von der Leyen, che durante il suo mandato è stata tra le promotrici di una forza comune, ha anticipato che, se rielett,a proporrà il Commissario alla Difesa.

Decisi sostenitori dell’Unione europea per la Difesa sono anche i centristi di Renew Europe, mentre meno convinta è la destra dei Conservatori e riformisti, che – in linea con la linea sovranista – suggeriscono di trovare investimenti per ricerca e industria di armi e apparecchiature tecnologiche per rafforzare gli eserciti dei singoli Paesi membri. A metà strada si collocano i Socialisti e democratici: non parlano di “esercito Ue,” ma invocano più cooperazione con la Nato e “un mercato interno della difesa più integrato”, invitando però l’Ue a non rinunciare al suo ruolo di mediatore nei conflitti, né alla lotta per la messa al bando delle armi nucleari e neanche alla necessità di vietare la vendita di armi a quei Paesi che violano i diritti umani, in linea col Codice di condotta europeo in materia di export di armamenti. Un approccio analogo lo hanno i Verdi che, pur sostenendo la cooperazione in ambito militare, ricordano che la sicurezza comune si raggiunge prima di tutto con società civili forti e strategie di lungo periodo che prevengano le crisi. Si invoca quindi un “servizio esterno europeo di politica estera e sicurezza” più forte. Anche stavolta, al capo estremo del dibattito si colloca la Sinistra europea, contraria alla corsa alle armi: per rispondere alle crisi attuali propone la pace “che si oppone al trend bellicista”, e la riduzione del Pil destinato dai 27 Stati membri all’acquisto di armamenti.

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