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Donne e ragazze senza diritti, Amnesty International: “L’apartheid di genere sia un crimine contro l’umanità”

Dall'Italia e dal MondoDonne e ragazze senza diritti, Amnesty International: “L’apartheid di genere sia un crimine contro l’umanità”

ROMA – Vietato uscire di casa da sole senza un parente maschio, vietato possedere un conto in banca o reclamare l’eredità, vietato divorziare e/o chiedere la tutela dei figli, ma anche vietato studiare, lavorare, parlare in pubblico, mostrare il corpo: sono tantissimi i divieti che ancora in troppi Paesi del mondo condizionano la vita di milioni di bambine, ragazze e donne. Limitazioni che riguardano anche esponenti della comunità Lgbtq+ a cui non solo vengono negati i diritti civili – come il matrimonio o la genitorialità – ma che in certi Paese arrivano a prevedere multe salate, fino al carcere o la pena di morte. È per tutte queste persone che si alza l’appello alle Nazioni Unite affinché inserisca l’apartheid di genere tra i crimini contro l’umanità. L’occasione è la riunione del Sesto comitato nel 4° incontro della 75esima Assemblea Generale, che si tiene in questi giorni.

“Il termine ‘apartheid’ richiama subito quella che c’è stata in Sudafrica, ma non è solo razziale: è anche contro tutti quei gruppi di genere – compresa la comunità Lgbtq+ – che possono subire discriminazioni, violenza e controllo da altri gruppi” chiarisce Tina Marinari, responsabile advocacy di Amnesty International, durante un incontro di sabato al Festival Sabir a Roma, con un titolo che ricalca l’hashtag della campagna internazionale: #EndGenderApartheid. Continua l’esperta: “In questo momento alle Nazioni Unite c’è una sessione che può decidere finalmente se dare il via a incontri internazionali per definire e adottare un Trattato internazionale sui crimini contro l’umanità. C’è bisogno che il diritto internazionale si adegui ai crimini che stiamo registrando contro donne, ragazze ed esponenti Lgbtq+: Il reato di persecuzione non basta”.

IN ARABIA SAUDITA C’È IL ‘TUTORE LEGALE’

Nell’incontro al Festival Sabir vengono presentati in particolare Iran e Afghanistan, “tra i Paesi dove la negazione dei diritti avviene in modo sistemico“, continua Marinari, “ossia attraverso leggi dello Stato. Ma di esempi ce ne sono tanti”. Il pensiero va al Sudan, dove 19 mesi di guerra civile hanno portato anche all’accusa di stupro come arma di usata delle parti, o all’Arabia Saudita, dove vige la figura del “tutore maschio” che ha l’ultima parola su ogni aspetto legale della donna, dalla nascita alla morte. Marinari cita poi il Marocco, dove le relazioni tra persone non eterosessuali può portare al carcere, un reato che in Uganda e Yemen è punibile anche con la vita.

IN AFGHANISTAN LE RAGAZZE DOPO I 12 ANNI NON POSSONO STUDIARE

Tornando ai casi-studio presentati al Sabir, si parte dall’Afghanistan dove “col ritorno dei talebani al potere dall’agosto 2021, alle ragazze da 12 anni in su è vietato studiare” denuncia Semin Azimi, 28 anni, attivista arrivata in Italia nel 2022 grazie ai corridoi umanitari. “Di recente è stata approvata una legge- ricorda Azimi- che arriva a vietare alle donne di parlare in pubblico a voce alta“. La donna a Kabul aveva fondato una ong che sosteneva vedove e orfani ma dopo l’estate 2021 “ho iniziato a ricevere minacce: mi mandavano messaggi in cui mi intimavano di smettere di lavorare. Alla fine ho subito un’aggressione in strada: è stato lì che ho deciso di fuggire in Pakistan. Sono arrivata in Italia grazie ai corridoi. Oggi sono di diventare infermiera e aprire una scuola online per le ragazze che non possono andare a scuola”.

IN IRAN LE DONNE NON POSSONO ANDARE IN BICI O IN MOTORINO

Anche in Iran “le donne hanno tante restrizioni: dal divieto di andare in bicicletta e in motorino all’obbligo di indossare l’hijab, il velo islamico, che di recente è diventato legge” avverte Fereshteh Rezaeifar, attivista di Donna vita libertà, movimento che ha ripreso vigore nel settembre 2022, quando la studentessa Mahsa Jina Amini venne uccisa da agenti della polizia morale che l’avevano portata in caserma per il velo indossato male. “Oltre a ciò- continua Rezaeifar- donne e bambine subiscono tante violenze sia da parte dello Stato che in casa. Nel 2018 è stato reso noto un rapporto che indicava 45mila ‘bambine vedove’, ossia delle minorenni date in sposa a uomini talmente anziani che sono morti, lasciando queste ragazzine sole, a volte anche con dei figli, senza nessun tipo di sostegno. Spesso sono costrette a mendicare. La soluzione del governo a questo scandalo- evidenzia Rezaeifar- è stata smettere di fare statistiche”.

“È fondamentale che l’apartheid di genere venga considerato un crimine contro l’umanità” sottolinea Parisa Nazari, mediatrice culturale, “è un appello che ha lanciato a gennaio Narges Mohammadi, Premio Nobel per la Pace 2023, dal carcere di Evin, a Teheran, dove è riunchiusa”. Mohammadi è la vice-presidente del Centro dei difensori dei diritti umani iraniano: è stata arrestata 13 volte per il suo attivismo e condannata in totale a 31 anni di carcere e 154 frustate. Nazari conclude: “Finché non c’è uguaglianza di genere, non ci sarà libertà in nessuna parte del mondo. È una lotta intersezionale, di tutti colo che credono in libertà e democrazia”.

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