ROMA – Il Belgio è colpevole di crimini contro l’umanità per atti commessi in Congo, Burundi e Ruanda durante il suo dominio coloniale: lo ha stabilito la Corte d’appello di Bruxelles, accogliendo la denuncia presentata da cinque donne nate nel Congo belga sottratte da bambine alle loro madri e portate in Europa tra il 1948 e il 1953. Le donne, oggi settantenni e residenti in Francia e Belgio, hanno ricevuto un risarcimento di circa 50mila euro a testa. La vicenda richiama in realtà una pratica che ha interessato migliaia di bambini “meticci”, ossia figli nati dall’unione tra donne africane e coloni europei. Le madri non sempre erano sposate, tra loro risultarono anche donne e persino adolescenti rimaste incinte fuori dal matrimonio, e costrette dalle autorità belghe a consegnare i neonati.
La sentenza della Corte d’appello risale al 2 dicembre scorso, e conferma che le cinque querelanti sono state “vittime di sequestro sistematico” dall’allora impero belga, un reato che rientra tra i crimini contro l’umanità. Di “decisione storica” ha parlato uno dei legali delle cinque donne, Michèle Hirsch: “È la prima volta in Belgio e probabilmente in Europa che un tribunale condanna lo stato coloniale belga per crimini contro l’umanità”.
ASSOCIAZIONE DEI METICCI: ‘SENTENZA CHE APRE STRADA A TANTI CHE ASPETTANO GIUSTIZIA’
François Milliex, presidente dell’Association des Métis del Belgio, secondo quanto riferisce ieri il Guardian che torna sulla vicenda, ha affermato che “questa sentenza apre sicuramente la strada a coloro che cercano giustizia”, e in particolare un risarcimento finanziario per la separazione forzata dai genitori quando erano ancora bambini. Come evidenzia ancora il Guardian, la pratica di portare in Europa bambini di origine miste rientrava nel piano di mantenere “il dominio dei bianchi suprematisti” nei paesi colonizzati dal Belgio. Ma il destino che attendeva i minori sottratti alle famiglie è stato tutt’altro che roseo: una volta portati in Europa, la maggior parte di loro ha raccontato di essere stata consegnata a istituti religiosi, senza nessuna possibilità di contatto con i genitori naturali. Molti hanno detto di essere cresciuti tra gli stenti, in condizioni precarie e con un’istruzione insufficiente. Lo stesso Milliex ne è un esempio: fu portato via dal Ruanda insieme ai fratelli, sebbene i genitori fossero vivi, li avessero riconosciuti e si fossero dichiarati disponibili a occuparsi dei bambini. Una volta in Belgio poi, Milliex è stato separato anche dai fratelli. L’anno successivo le autorità gli hanno tolto la nazionalità belga, lasciandolo apolide e nell’impossibilità di lasciare il Paese. Solo da adulto ha potuto riconquistarla. L’attivista continua: “La maggior parte dei minori meticci trasferiti in Belgio oggi si rammarica che lo Stato non abbia mai proposto un risarcimento finanziario per il dolore patito. Ci sono persone che continuano a soffrire tuttora per questa separazione, per la perdita di identità, perché non riescono a capire perché sono stati portati via dalla madre, perché il padre a volte non li ha riconosciuti”. Ad oggi si stima che ci siano anche migliaia di madri e padri in attesa di notizie dei loro figli, oppure che sono morti senza mai ritrovare i propri figli.
TANTI OSTACOLI PER CHI CERCA LE FAMIGLIE BIOLOGICHE
Solo nel 2019 l’allora primo ministro belga Charles Michel, riconoscendo la vicenda, ha chiesto ufficialmente scusa per i rapimenti di stato, ma non ha previsto risarcimenti, come invece hanno fatto i governi di Australia e Canada per politiche analoghe a danno delle comunità native. Michel ha solo avviato un’iniziativa per facilitare l’accesso agli archivi da parte delle vittime, con l’obiettivo di individuare le famiglie d’origine. Ma come avvertono le associazioni, non sempre le ricerche sono fruttuose: i funzionari dell’epoca a volte riportarono in modo parziale o errato i dati anagrafici nei registri, oppure non li trascrissero affatto. Inoltre, centinaia di bambini sarebbero rimasti in Africa centrale una volta tolti alle famiglie, anche tra il 1960 e il 1962, anni in cui quei tre paesi ottennero l’indipendenza. Oggi l’organismo statale Résolution Métis, che si occupa di facilitare il ricongiungimento familiare, lavora anche a un elenco delle persone interessate ma sostiene che il compito “non è affatto semplice”.
Anche in Africa esistono associazioni che seguono le vittime dei rapimenti di Stato, tra cui African Futures Lab, attiva nell’attuale Repubblica Democratica del Congo e in Burundi. Il Guardian cita un suo membro, Geneviève Kaninda: “La sentenza della corte- ha detto- potrebbe costituire un punto di svolta per le persone nella regione dei Grandi Laghi, che potranno, se lo desiderano, ottenere giustizia”. Kaninda ha avvertito che le vittime di separazioni forzate rimaste nei paesi africani affrontano “enormi difficoltà” nell’ottenere visti per andare in Belgio per effettuare le ricerche d’archivio o i test del Dna, L’attivista quindi ha lanciato un appello alle autorità, chiedendo che tutti coloro che hanno subito questa pratica in un periodo in cui erano posti sotto l’autorità dello stato belga possano ottenere anche “la nazionalità belga”. Ma al momento non sussistono proposte da parte del governo, mentre il ministero degli Esteri fa sapere che l’esecutivo non ha neanche “ancora deciso la sua posizione in merito al seguito che darà alla sentenza della corte d’appello. La stiamo analizzando”.
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